Abstract
La cefuroxima intracamerale è comunemente utilizzata come profilassi contro l’endoftalmite dopo l’intervento di cataratta. Sebbene la sua efficacia sia ben documentata, persistono preoccupazioni riguardo alla potenziale tossicità. La sindrome tossica oculare da cefuroxima intracamerale (ICOTS) è caratterizzata da un distacco sieroso retinico acuto, esteso e diffuso, che solitamente si risolve spontaneamente. Tuttavia, gli effetti a lungo termine dell’ICOTS non sono ancora stati studiati. Questo studio mira a fornire nuove informazioni sull’ICOTS utilizzando imaging multimodale, elettrofisiologia retinica e perimetria per valutare i cambiamenti funzionali e strutturali sia acuti che cronici in occhi con barriera vitreale intraoculare alterata.
Abstract
Scopo: Descrivere l’applicazione della tecnica di imaging a fase ottica transclerale (TOPI) nella visualizzazione del pigmento retinico (RPE) in un caso clinico avanzato di maculopatia da clorochina (CQ).
Caso clinico: Una donna di 57 anni affetta da malattia del tessuto connettivo indifferenziata e in trattamento cronico con clorochina ha sviluppato una retinopatia bilaterale. Le indagini funzionali (perimetria automatizzata ed ERG multifocale) hanno evidenziato difetti paracentrali e riduzione delle risposte nelle regioni parafoveali. L’imaging è stato effettuato con OCT, autofluorescenza in blu e tecnologia TOPI combinata con ottica adattiva, che ha permesso la visualizzazione diretta del mosaico cellulare dell’RPE.
Abstract
La retinopatia diabetica e l’occlusione della vena retinica rappresentano due malattie retiniche prevalenti che minacciano la vista. La terapia laser retinica gioca ancora un ruolo importante nel trattamento di queste condizioni, ma la sua somministrazione efficace richiede spesso l’invio a centri specializzati e a esperti della retina. È quindi essenziale sviluppare una nuova metodologia di trattamento che consenta ai pazienti di beneficiare dell’expertise degli specialisti dei centri di riferimento. A tal fine, abbiamo indagato la fattibilità della fotocoagulazione teleguidata condotta tra continenti, per determinare se diversi oculisti possano elaborare consensualmente ed eseguire in sicurezza piani di trattamento a distanza.
Abstract
Gentile Direttore,
Abbiamo letto con interesse il recente articolo su JAMA di Ceradini et al. [1], che riporta i reperti clinici oftalmologici in un paziente che ha ricevuto, per la prima volta, un trapianto dell’intero occhio. Questo paziente è stato sottoposto a una ricostruzione dettagliata e all’avanguardia dell’emifaccia e dell’orbita, con un eccellente e importante risultato estetico post-operatorio. La procedura è stata eseguita con grande attenzione anche per quanto riguarda le questioni etiche [2] e, in prospettiva, potrebbe rappresentare un passo importante verso una risorsa terapeutica per trattare pazienti senza alternative praticabili.
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Introduzione: La distrofia retinica a nido d’ape di Doyne (DHRD), o drusen radiali autosomica dominante, è una malattia genetica causata da varianti patogeniche del gene EFEMP1 (epidermal growth factor (EGF) containing fibulin-like extracellular matrix protein 1) ed è caratterizzata dalla formazione di depositi drusenoidi subretinici. In uno studio precedente, abbiamo riportato gli effetti benefici a breve termine del trattamento laser a nanosecondi (2RT) sulla funzione retinica nella DHRD.
L’obiettivo del presente rapporto era descrivere i risultati di un follow-up a lungo termine della struttura/funzione retinica in una piccola serie di casi di pazienti con DHRD sottoposti a trattamento 2RT.
Presentazione dei casi: Tre pazienti con DHRD (caso 1, maschio, e casi 2 e 3, due sorelle, età compresa tra 41 e 46 anni) con variante patogenica del gene EFEMP1 (c.1033C>T; p.R345W) e depositi drusenoidi al polo posteriore sono stati esaminati al basale e dopo il trattamento 2RT, a intervalli regolari (ogni 2–4 mesi) fino a 30 mesi. Tutti e tre i pazienti sono stati sottoposti a una o due sessioni di trattamento in uno o entrambi gli occhi durante il periodo di follow-up. Il caso 3 è stato trattato solo nell’occhio sinistro (OS).
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Contesto: Le distrofie retiniche associate a varianti dannose nel gene cadherin-related family member 1 (CDHR1) sono rare ed eterogenee dal punto di vista fenotipico. Qui riportiamo una valutazione longitudinale (triennale) struttura–funzione di una paziente con una distrofia retinica correlata a CDHR1.
Metodi: Una ragazza di 14 anni è stata valutata tra il 2019 e il 2022. È stata eseguita periodicamente, ogni sei mesi, una valutazione oftalmologica, comprendente visione dei colori, perimetria, elettroretinografia e imaging multimodale della retina. Il sequenziamento di nuova generazione ha rilevato due varianti verosimilmente patogeniche/patogeniche nel gene CDHR1, in eterozigosi composta, confermate tramite analisi di segregazione.
Risultati: Alla prima visita, la paziente presentava un pattern di distrofia retinica cono–bastoncellare. Durante il follow-up, si è osservata una riduzione dell’acuità visiva e della sensibilità perimetrica (rispettivamente ≥0,3 e 0,6 unità log). La perdita visiva era associata a un aumento progressivo dello spessore retinico interno (del 30%). La retina esterna non ha mostrato cambiamenti rilevabili nel corso del follow-up.
Abstract
Questo lavoro mira a rivelare per la prima volta l’aspetto microscopico (risoluzione di 2–3 micrometri) delle fibre nervose mielinizzate umane in vivo. Abbiamo analizzato in modo non invasivo le fibre nervose retiniche mielinizzate di un paziente di sesso maschile senza altri disturbi neurologici, utilizzando il metodo di imaging ottico a fase trans-sclerale con ottica adattiva. Abbiamo inoltre analizzato l’occhio controlaterale con fibre nervose non mielinizzate e confrontato i risultati con i metodi tradizionali di imaging oculare, come la tomografia a coerenza ottica. Abbiamo documentato l’aspetto microscopico della mielina umana e degli assoni mielinizzati in vivo. Questo metodo ci ha permesso di ottenere dettagli migliori rispetto ai metodi tradizionali di imaging oculare. Speriamo che questi risultati siano utili alla comunità scientifica.
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Obiettivi: L’obiettivo principale di questo studio era riportare e indagare le caratteristiche e i cambiamenti longitudinali delle lesioni del fondo oculare dark without pressure (DWP) nei pazienti con malattie autoimmuni, utilizzando tecniche di imaging multimodale.
Metodi: In questa serie di casi osservazionale retrospettiva, sono stati esaminati cinque pazienti affetti da disturbi autoimmuni oculari e sistemici e da DWP. Il DWP è stato valutato mediante imaging multimodale, inclusi: fotografia del fondo a colori (CFP), riflettanza nel vicino infrarosso (NIR), riflettanza blu (BR), autofluorescenza blu (BAF), tomografia a coerenza ottica (OCT), OCT-angiografia (OCT-A), angiografia con fluoresceina (FA) e angiografia con verde indocianina (ICGA), oltre a test funzionali, tra cui perimetria automatizzata standard (SAP) ed elettroretinografia (ERG). Gli esami di follow-up sono stati eseguiti su quattro dei cinque pazienti (intervallo: 6 mesi–7 anni).
Risultati: Le lesioni del fondo oculare DWP sono state riscontrate nella medio-periferia retinica e caratterizzate da iporiflettività della zona ellissoide all’OCT. Il DWP è apparso iporiflettente nel NIR, BR e BAF, e ha mostrato ipofluorescenza alla FA in due pazienti, mentre non mostrava segni in un paziente. L’ICGA ha mostrato margini ipofluorescenti in un paziente. I test SAP e ERG non hanno mostrato alterazioni attribuibili alla lesione DWP.
Abstract
La distrofia maculare di Stargardt è un disturbo genetico, ma in molti casi il gene causativo rimane sconosciuto. Attraverso un approccio combinato (sequenziamento dell’esoma completo e algoritmo di filtraggio basato su fenotipo/famiglia) e una validazione multilivello (ricerca in database internazionali, calcolo dei punteggi predittivi, saggio di analisi dello splicing, analisi di segregazione), è stata identificata una mutazione biallelica nel gene RDH8 responsabile della distrofia maculare di Stargardt in una famiglia italiana consanguinea.
Questo articolo è un resoconto della prima famiglia in cui è stata rilevata una mutazione deleteria biallelica nel gene RDH8.
Il fenotipo della malattia è coerente con il fenotipo atteso ipotizzato in studi precedenti su modelli murini.
L’applicazione dell’approccio combinato ai dati genetici e la validazione multilivello ha permesso l’identificazione di una mutazione di splicing in un gene che non era mai stato precedentemente riportato in disturbi umani.
Abstract
Un’adeguata selezione dei pazienti è fondamentale per evitare complicanze in seguito a chirurgia refrattiva corneale, ma alcune patologie, come le malattie ectasiche della cornea, possono sfuggire agli esami convenzionali, generando incertezza terapeutica. In questo contesto, l’introduzione dello screening genetico preoperatorio rappresenta un’opportunità innovativa per potenziare la valutazione pre-chirurgica. Presentiamo il caso di un uomo caucasico di 44 anni, candidato alla chirurgia laser corneale, senza alcuna storia medica, familiare o psicosociale rilevante, né sintomi clinici di alterazioni corneali. I test preoperatori tradizionali non avevano evidenziato anomalie, ma il sequenziamento del DNA di 75 geni legati alla salute oculare ha rivelato la presenza di rare varianti genetiche nei geni ADGRV1, PTK2, ZNF469 e KRT15, potenzialmente associate a un rischio aumentato di risposta inadeguata all’intervento. Una successiva rivalutazione con tre tomografi corneali di ultima generazione ha confermato un “warning” nel profilo posteriore della cornea sinistra, suggerendo una possibile fragilità strutturale. Questo caso dimostra come lo screening genetico possa colmare le lacune diagnostiche delle tecnologie attuali, prevenendo interventi potenzialmente dannosi su soggetti a rischio.