Farmacochirurgia

Il termine “farmacochirurgia” è un vocabolo di recente introduzione e viene utilizzato per descrivere l’applicazione terapeutica di un farmaco mediante un intervento di microchirurgia. Grazie a questa metodologia, il farmaco viene inoculato direttamente in prossimità se non addirittura all’interno dell’organo o del tessuto colpito dalla patologia, consentendo una maggiore efficacia e specificità di azione e riducendo al tempo stesso gli effetti collaterali.

 

Nel campo dell’oculistica, l’esempio di farmacochirurgia più calzante è quello delle iniezioni intravitreali a base di farmaci anti-VEGF, che vengono somministrate ai pazienti affetti da retinopatie di tipo essudativo, come la AMD di tipo umido. I vantaggi apportati da tale procedura sono molteplici, infatti la possibilità di somministrare dosi di farmaco molto piccole evita gli effetti collaterali che si avrebbero da una sua somministrazione in elevate quantità per via parenterale (endovenosa).

L’applicazione del farmaco in loco, ovvero l’inoculazione del farmaco in prossimità della retina, permette di avere una specificità di azione molto elevata, evitando ogni possibile dispersione dell’effetto farmacologico. L’efficacia terapeutica dei farmaci somministrati grazie alla farmacochirurgia è nettamente superiore rispetto a quella che si avrebbe somministrando il farmaco in modo tradizionale.

 

Nel caso delle iniezioni intravitreali di farmaci anti-VEGF, è importante ricordare che la terapia non porta alla guarigione definitiva dalla malattia, ma concorre grandemente alla possibilità di preservare, e in alcuni casi persino di migliorare, la vista residua dei pazienti affetti da stadi avanzati di retinopatie di tipo essudativo. Il trattamento deve essere ripetuto nel tempo poiché il farmaco si esaurisce. Il tempo che intercorre tra un trattamento e l’altro (1-4 mesi) varia a seconda del paziente e in questo intervallo di tempo è di fondamentale importanza effettuare un monitoraggio strumentale mediante esami quali l’angiografia a fluorescenza (FAG o ICG) e/o la tomografia a coerenza ottica (OCT).

L’auspicio dei professionisti del settore e la speranza dei pazienti è che si possa arrivare alla produzione di farmaci sempre più efficaci, specifici e con effetto sempre più duraturo. Inoltre gli oculisti attendono, in un futuro abbastanza prossimo, la messa a punto di terapie geniche che consentano la produzione endogena (interna all’occhio) di molecole anti-VEGF, introducendo nelle cellule dell’occhio sequenze di DNA in grado di produrre tali molecole, evitando in questo modo la dipendenza dalle iniezioni intravitreali del farmaco.